| Forse, in un modo o nell'altro, capì il discorso un po' contorto di Jake. Sorrise, un sorriso strano per la verità: era gentile, di chi comunque ha capito cosa stai dicendo e vuole tranquillizzarti in tal senso, ma aveva un'ombra che solo Magnus Bane avrebbe potuto interpretare correttamente, un'ombra fatta di amarezza e di una rabbia sopita da tempo di cui però sarebbe rimasta traccia per l'eternità. ...Già, l'eternità. Jake non l'avrebbe avuta davanti a sé, esattamente come aveva detto: forse più tempo di un mondano, ma mai il tempo di un Nascosto. Anche per quello, pensò Stephen in quel momento per la prima volta, forse stava cercando di tenerlo lontano. Non sapeva se sarebbe mai arrivato ad innamorarsi di nuovo e se sarebbe stato di Jake, ma... probabilmente non era in grado di sostenere il dolore di perdere un altro compagno; non ce la faceva con i cani che accompagnavano la sua vita da secoli, figurarsi con una persona. Forse era davvero tutta lì la questione, e forse avrebbe dovuto dirglielo subito: ma, al tempo stesso, aveva quasi l'assoluta certezza che Jake - così giovane, entusiasta, e senza l'esperienza che poteva aver avuto lui - non avrebbe capito. Avrebbe sempre avuto la sua visione ottimista delle cose, come "godere di ciò che si aveva in quel momento", e simili. Lo pensò, chiudendosi nel silenzio senza accorgersene, per diverso tempo che forse fece dubitare Jake di non essersi fatto capire o di aver detto qualcosa di strano o sbagliato. «Forse sono cambiato così tanto, perché sapevo di avere così tanto tempo da dover vivere.» concluse, come se avesse ragionato per tutto quel tempo per arrivare a quella risposta: «Forse se avessi avuto la certezza che la mia vita potesse avere una fine in cento, anche duecento anni, avrei continuato ad essere arrabbiato, a lasciarmi guidare da qualsiasi istinto o impulso emotivo avessi. Sarei stato meno tollerante, questo è certo, ma sarei stato anche più...» esitò per un attimo a dirlo «vivo.» concluse poi, spostando di nuovo lo sguardo verso la finestra, com'era avvenuto nella stanza dell'Istituto in cui lo aveva curato e in cui avevano parlato una delle prime volte. «Ma la consapevolezza di avere l'eternità... se non fossi mai cambiato, alla fine mi sarei sicuramente consumato dall'interno.» ammise, spostando lo sguardo su di lui. Avrebbe voluto fare un'espressione incoraggiante, ma gli uscì più qualcosa che sembrava dire "vedrò sparire anche te, come tutti i mortali" o affini: «Non pensare che avere tempo sia solo positivo. La tua vita sarà bella proprio perché ad un certo punto, quando sarai stanco e non ne potrai più, quando avrai visto non tutto ciò che esiste ma tutto ciò di cui avevi davvero bisogno, potrai dire "finalmente" e riposarti come meriti. Non è così male, ad un certo punto, liberarsi un po' di tutto. Anche di se stessi. Non è così male.» pronunciò con tono morbido, ma lontano, distante. Quante volte, era stato macerato dal conflitto di voler morire come i mondani e non voler avere nulla a che spartire con loro? Tante. Troppe.
|